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Le Mans, la 40enne rossa

Da giovane, poco più che ventenne, guidavo una Ducati Supersport 600: bellissima, gustosa, spartana e tanto racing nonostante prestazioni non proprio esuberanti: era il modello meno performante della casa bolognese, e proprio per questo estremamente bilanciata e divertente.

Ducati può non piacere a tutti, ma ritengo sia una tappa utile alla maturazione e formazione di un motociclista, perché ha un modo tutto suo di farsi guidare che ti insegna molto. Il passo successivo per me è stato il boxer bavarese: mi piaceva moltissimo e ne subisco tuttora il fascino. Cilindri contrapposti e cardano: l’idea di avere i
cilindri davanti alle gambe mi rassicura, e il cardano mi esenta da manutenzioni frequenti alla catena. Buona affidabilità e confidenza nell’utilizzo, piacevole anche con il passeggero.


Nel 2014 ho acquistato con mio padre una Le Mans del 1978 850cc bisognosa di cure (visto il suo legame con le moto di Mandello le alternative sul mezzo da restaurare insieme erano veramente poche).
Io non ero un ammiratore del marchio e questa moto invece ha rappresentato per me una svolta, vuoi per le motivazioni che mi hanno portato ad intraprendere questo progetto con mio padre, o per la volontà di rimettere in strada questo mezzo storico.
Mi sono documentato sulla storia del modello e ho letto tante curiosità sulla casa dell’aquila nei vari forum che mi hanno particolarmente colpito, considerando soprattutto il periodo storico tumultuoso in cui è stata costruita.
Una volta terminato il restauro, la moto andava testata su strada: ho preso sempre più confidenza ad ogni uscita, trovandone piacevole la guida fin da subito.
Complicato paragonarla ad una moto moderna: spartana, poco confortevole per la posizione in sella sportiva, ma comunque stabile e precisa nella guida.


Con l’ausilio di un caro amico poi (ciao Carlo), abbiamo aggiornato alcuni particolari e curato la messa a punto rendendone l’utilizzo stradale molto più semplice. Si tratta di modifiche “street legal” non invasive e reversibili, come ad esempio pneumatici particolarmente performanti, tubazioni freno in treccia, liquido freni ad alte prestazioni, materiale frenante organico, lubrificanti da competizione sia nel motore che nel
cambio (300v 15w50 e GEAR 300).
Ora la Le Mans ha una capacità di arresto paragonabile ad una moto moderna (pur avendo mantenuto la frenata integrale) ed una tenuta di strada esemplare grazie a pneumatici con mescola tenera. La sorpresa è che sui passi si lascia condurre con facilità, e la sua dolcezza nell’erogazione unita ad una coppia notevole, la rendono molto piacevole ed efficace.


Ha un suono bellissimo, da pelle d’oca, generato dalla combinazione dell’aspirazione libera (nasceva così..) che unito agli scarichi sportivi, creano una colonna sonora stupenda che mi accompagna ad ogni uscita.
Oggi l’apprezzo moltissimo, ne sono entusiasta e ogni volta che la utilizzo mi lascio andare a quel fiume di emozioni che questa Moto Guzzi riesce a generare, e pensare che a vent’anni non ci sarei salito sopra nemmeno dietro lauto compenso …
La Le Mans è così coinvolgente e ad ogni uscita riesce ancora a sorprendermi, le sue doti dinamiche si rivelano più che attuali facendomi sentire sempre a mio agio, anche sui passi appenninici che percorro. Sono seriamente convinto che il telaio progettato nel 1969 dal tecnico romagnolo Lino Tonti, sia molto efficace ancora oggi.
Devo purtroppo ammettere che mi risulta diversamente comoda, ma è più un limite della mia anagrafe che un difetto della moto: non riesco a guidarla per un giorno intero, ho poca autonomia: la posizione in sella mi consente di guidarla senza affaticarmi troppo al max 180/200Km.

Ci sono affezionato, è diventata “di famiglia” e quando penso alla moto, pur essendo felice possessore di una giovane tedesca, ottima per le uscite normali, il mio pensiero va spesso a lei, la mia anima gemella a due ruote.

Come ho scritto in precedenza … al cuor non si comanda.

Clarence

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