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Tra colpi di genio e soluzioni raffinate, le moto più anticonformiste di sempre

Il concetto di moto è uno dei più ampi e versatili che la storia della tecnica, dalla rivoluzione industriale a oggi abbia potuto esercitare. Partendo da una sorta di telaio con le ruote spinto da un motore, lo sviluppo ha portato continui miglioramenti, cucendo sempre di più le moto addosso a chi le deve guidare. Potendo però lavorare di fantasia e metterla al servizio della tecnica, l’ingegno delle case costruttrici si è espresso in tanti concetti, alcuni più fortunati e altri meno. Sempre alla ricerca di soluzioni utili, vediamo di quanta genialità sono stati arricchiti alcuni modelli, divenuti delle icone di anticonformismo.

BENELLI TORNADO TRE 900 (2002-2008)

Una delle moto più anticonformiste del terzo millennio è certamente la splendida Benelli Tornado Tre 900 che oltre vent’anni fa ha segnato il ritorno della marca pesarese tra le moto di grossa cilindrata. Prodotta e venduta tra il 2002 e il 2008, s’inseriva tra le maggiori esponenti del segmento delle supersportive come Aprilia RSV 1000, Ducati 999/1098, Honda CBR 900RR/1000RR, KTM RC8, Mondial Piega, MV Agusta F4, Triumph Daytona 955i, Yamaha YZF R1, Kawasaki Ninja ZX 10R e Suzuki GSX-R 1000 e con il suo motore da 898 cc è stata la prima tre cilindri della storia a partecipare al World Superbike.

Oltre all’inconsueto frazionamento per una moto iscritta al campionato delle derivate di serie, la più celebre delle soluzioni in controtendenza adottata dai progettisti della Tornado è sicuramente il posizionamento di radiatori con relativi sistema di raffreddamento sotto la sella. Dettata da uno studio fatto sulle zone di pressione e depressione attorno alla meccanica, questa scelta sfruttava il fatto che sopra la ruota, l’aria in depressione fluisse automaticamente senza dover sfruttare l’impatto frontale del radiatore in ordine di marcia. Commercialmente non ha avuto un grosso successo, ma in Superbike aveva mostrato di essere la vera alternativa della serie. Affidata al pilota Peter Goddard, il progetto soffriva della poca esperienza nei weekend di gara. Nel round d’esordio non raccolse nemmeno un punto a causa di un ritiro e una caduta, ma nei primissimi giri di gara 1, aveva rimontato una decina di posizioni. Il miglior piazzamento risale all’undicesimo posto di Assen 2002, penultima prova prima del ritiro dalle corse. Nonostante la scarsa vita sportiva, è rimasta in catalogo per vari anni facendosi apprezzare da molti di più di coloro che l’hanno comprata e guidata. Merito di quelle strane ventole sotto la sella che la facevano veramente somigliare a un caccia Tornado.

BUELL XB12S (2003-2009)


Erik Buell è sempre stato un visionario, uno che di un motore Harley-Davidson intuiva un potenziale che altri non vedevano. Con la creazione delle moto che portano il suo cognome, ha dato vita a ogni rivisitazione possibile in chiave sportiva del bicilindrico di Milwaukee, mettendo in circolazione vere e proprie roadster brucia semafori. A rendere particolari le Buell non è stato solo il modo diverso di sfruttare il potente motore Harley, ma anche le soluzioni tecniche a cui si sono affidati i progettisti per ottimizzare e rendere performanti questi modelli anticonformisti in tutto.

Un particolare è certamente il sistema frenante con disco perimetrale. Il principio è lo stesso della leva che, aumentando il suo braccio, riduce lo sforzo applicato da questa. Pertanto, spostando il baricentro della pinza verso l’esterno (il perimetro), la potenza della frenata si moltiplica consistentemente. Questa teoria molto valida non ha avuto riscontri in modelli di altre marche perché, nonostante l’importanza di avere una frenata solida a cui affidarsi, il risultato è sovradimensionato rispetto alla gestione affidata a telaio e sospensioni a cui, in una combinazione ben calibrata, basterebbe il potenziamento di pinze e dischi freno tradizionali. In controtendenza non c’è solo il tipo di freno utilizzato, ma anche la scelta di contenere il carburante nel telaio, creando una sorta di falso serbatoio tradizionale e riempire di benzina i travi laterali della struttura portante. Stessa sorte è toccata anche al serbatoio dell’olio ricavato nel forcellone. E ci sono altre particolarità che hanno reso uniche e di discreto successo le moto del pegaso come l’utilizzo di semiblock al telaio, inconsueti per una motocicletta in quella che non è solo la rilettura della sportiva all’americana, ma si estende ampiamente a tutto il concetto di moto.

YAMAHA 1200 V-MAX (1985-1989)


Presentata al Salone di Milano del 1985, la Yamaha 1200 V-MAX era una moto concepita per conquistare il mercato americano. Ad Iwata avevano iniziato a lavorare al progetto già nel lontano 1981 e il risultato ottenuto era un modello grintoso, dalle linee custom e il cuore potente. Equipaggiata da un quattro cilindri a V di 65°da 1198 cc, sviluppava 145 Cv in grado di bruciare l’asfalto e chiedere di aggrapparsi saldamente al manubrio ad ogni manata di gas.

Classificata come muscle moto, oltre alla potenza portava in seno altre peculiarità che l’hanno resa una vera anticonformista. Primo su tutti, anche in questo caso il serbatoio non era attaccato al telaio sopra il motore, ma nascosto sotto la sella e insieme alla posizione bassa e le pedane avanzate, contribuiva ad abbassarne il baricentro in maniera significativa. Quello che compare dietro al manubrio non è altro che un guscio di finitura e copre il sistema d’aspirazione dell’aria che alimenta il vorace V4, come si evince dalle generose prese d’aria cromate poste lateralmente. A completare il quadro di questa moto rivoluzionaria, la trasmissione finale a cardano che muove una massiccia ruota 150/90-15. Tra i modelli più ricchi di scelte estreme è anche quella di maggior successo commerciale (11.500 pezzi dal 1985 al 1989) e lo si deve agli standard delle moto giapponesi, di Yamaha e del grande appeal che la V-MAX di prima generazione esercita ancora nell’immaginario, ma non solo, dei motociclisti di tutto il mondo.

YAMAHA GTS 1000 (1993-1999)

Una delle cose che normalmente non si può pensare di una moto da turismo di grossa cilindrata è che sia stata concepita per rompere gli schemi. In questo caso è nuovamente Yamaha a fornirci l’esempio che smentisce quanto appena detto e per farlo approfitta in grande stile di un concetto di telaio più volte proposto in precedenza, ma fino ad allora mai usato per conferire comfort sulle lunghe percorrenze. Uscita nel 1993 la Yamaha GTS 1000 doveva sfruttare il sistema di un telaio a omega, come quello visto in precedenza sulla più sportiva e concettuale Bimota Tesi e diventare un’alternativa popolare ai classici telai stradali. Per creare la giusta combinazione, utilizzarono il collaudato quattro cilindri dell’FZR1000, togliergli una trentina di cavalli, addolcirgli l’erogazione mantenendo coppia ai bassi regimi, sostituire i carburatori con l’iniezione elettronica, montare il catalizzatore e dotarla di ABS. A questo punto, il telaio non doveva più sostenere una classica forcella, ma un braccio d’alluminio orizzontale su cui è fissato un ammortizzatore imbullonato all’altra estremità al telaio, mentre il sistema di sterzo è separato ed agisce indipendentemente. Lo scopo è ottenere una gestione della guida e della frenata totalmente diversa e più omogenea, funzionale alla guida nei lunghi viaggi.

Più stabilità nei lunghi curvoni autostradali, annullando i fastidiosi ondeggiamenti di quando si arriva intorno ai 200 Km/h. Infatti, le azioni di sterzo e ammortizzatore non sono compito di un unico sistema come accade normalmente, ma dipendono da strutture diverse che lavorano in simultanea. Pur contando su una raffinata tecnica non poté esprimere tutto il suo potenziale in quanto alla Yamaha in quel periodo avevano già un mezzo di buon successo che occupava questo segmento, la FJ che, nella versione 1200 è stato prodotto fino al 1996. La GTS offriva lo stesso confort della compagna di listino, senza lo stress della ciclistica tradizionale. Fondamentalmente questa moto costava troppo per gran parte della clientela, mentre all’altra parte (che poteva permettersi la spesa), è mancata la fiducia necessaria a sconvolgere il mercato. E’ stata venduta fino al 1999 e non ha avuto un seguito tecnico nemmeno presso la concorrenza, risultando ad oggi un esperimento riuscito e basta.

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